I consumatori americani trovano del tutto normale pagare un onorario per i servizi che ricevono da un agente di viaggio. Lo afferma l’Asta, l’associazione nazionale delle agenzie, nell’edizione 2015 della sua Fee Survey.
Dalla quale risulta che l’81% degli associati richiede una fee di servizio: ma si tratta di un calo, rispetto all’85% del 2012, che conferma una tendenza in atto da una quindicina di anni. Perché già nel 1998 circa il 64% delle agenzie aveva iniziato ad applicare fee sull’emissione di biglietteria aerea, dopo che da settembre dell’anno precedente i vettori avevano tagliato le commissioni all’1%. Tuttavia – dice anche la Survey dell’ASTA – dal 2009 il valore delle fee è aumentato, anche per compensare il drastico calo dei prezzi durante gli anni più acuti della crisi economica, quando le agenzie disperavano di riuscire a tenersi i loro clienti.
La professionalità si paga
La novità di questi ultimi anni è il fatto che le agenzie americane applicano anche una fee di consulenza non rimborsabile su tour, gruppi e crociere, commisurata al valore totale della pratica. Poi il cliente che lo preferisca può concludere per proprio conto il booking, fino al pagamento. Si tratta dunque di una fee di preventivo: se il cliente non acquista in agenzia, l’agente di viaggi trattiene l’importo come corrispettivo del proprio tempo di lavoro.
Hanno cominciato i vettori, con le ancillary
A favorire l’affermazione della fee di consulenza, notano gli analisti, sono stati vettori aerei, alberghi e crociere che hanno introdotto molti oneri accessori, abituando i clienti all’idea di pagare un extra in cambio di valore aggiunto e servizi migliori.
Come stanno le cose lo ha spiegato Robert Joselyn, presidente di Joselyn Consulting Group e di TAMS, impresa di management per le agenzie di viaggi: «Le compagnie aeree per prime hanno abituato la gente a pagare fee di ogni tipo. Ma un agente di viaggi ha molti modi di dimostrare il valore del proprio lavoro. E in questo momento le fee sono essenziali per la sopravvivenza delle agenzie, oggetto ora di un vero e proprio assalto al loro reddito».
Perché più fattori combinati – erosione delle commissioni, fai da te dei clienti online – stanno trasformando ancora il mercato: meno clienti si rivolgono alle agenzie, e lo fanno quasi esclusivamente per prenotare viaggi di valore. «Ormai il business facile viaggia sul web – dice Joselyn – mentre le agenzie affrontano una domanda sempre più complessa e impegnativa. Il business mix è molto cambiato, e ora le agenzie non riescono più a lavorare senza un onorario. Perché il loro cliente adesso chiede consulenza su viaggi che da solo non riesce a comprare online, e pretende di essere servito da un professionista tanto esperto da valere 80mila dollari l’anno, mentre quasi sempre ha a che fare con qualcuno che ne guadagna meno di 40mila. E ormai le commissioni sulla vendita non bastano più a pagare una formazione di alto livello».
«Non è un sogno, ci vuole solo coraggio»
Peraltro quasi sempre l’agente è in grado di ricambiare subito la fee offrendo al suo cliente qualche vantaggio concreto: magari ottenendo un upgrading di qualche tipo, scovando l’offerta giusta o una tariffa aerea molto vantaggiosa, grazie appunto alle proprie capacità professionali.
«I nostri clienti riconoscono che il valore aggiunto offerto dai nostri agenti di viaggi supera di molto quello della fee, che si tratti di voli, hotel o crociere» dice John Lovell, presidente del Travel Leaders Franchise Group e di Vacation.com. «Significa che da noi possono ottenere anche upgrading, early check-in e late check-out, prime colazioni, Wi-Fi e parcheggio gratis, e talvolta anche prezzi inferiori a quelli del web. Insomma la fee è strapagata, sempre». E per questo evidentemente i clienti pagano senza fiatare, o quasi. Dunque una fee di consulenza non è un sogno, e forse c’è solo bisogno di cominciare a chiederne con coraggio, anche qui in Italia.
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